La gelateria Coppelia nel Centro di Cienfuegos, Cuba. 

Avevamo girato Cienfuegos tutto il giorno, quando rientrando verso la nostra casas particulares ho visto un Coppelia, la gelateria storica di Cuba. In realtà ormai, alle porte del 2019, per chi ha in tasca un po’ di CUC e vuole mangiare un gelato a Cuba non c’è più bisogno di fare la fila da Coppelia – il numero di gelaterie si è moltiplicato, insieme a quello dei turisti. 
Per generazioni di giovani cubani però Coppelia è stata l’unica catena a Cuba ad avere il monopolio del gelato. Per decenni e almeno per un paio di generazioni, è stata sinonimo stesso di gelato.  

Ormai Coppelia attrae due categorie principali di avventori: i cubani che non hanno la possibilità di permettersi altro e i turisti. Alcuni dei Coppelia delle città più grandi hanno addirittura riservato ai turisti una sala a parte, dove non devono fare coda e pagano ovviamente molto di più. Qui a Cienguegos c’è una fila unica all’ingresso e sembro essere l’unica turista che ha deciso di avventurarsi, circondata da uno stuolo di mamme e bambini urlanti. Studio attentamente il cartello all’ingresso per cercare di capire cosa ordinare, ma quando la cameriera mi invita ad entrare, ovviamente non ne ho la più pallida idea. 

Il modo in cui i cubani hanno imparato a gestire anni e anni di file per accedere ai beni più comuni ha dell’incredibile. Le file vengono organizzate in modo preciso e metodico, spesso utilizzando i posti a sedere come riferimento. E così va anche da Coppelia, nonostante il ristorante sia enorme e praticamente vuoto, la cameriera ci fa accomodare in un unico semicerchio di tavoli, facendoci sedere in senso orario per ordine di arrivo. Seguirà lo stesso identico senso anche per prendere e servire gli ordini. E farà entrare un nuovo gruppo solo quando tutti i tavoli del semi cerchio saranno di nuovo vuoti. 

La Catedral de la Purisima Conception di Cienfuegos, nel Parque José Marti. 

Io sono felicissima di essere riuscita finalmente a prendermi il mio tavolino perché fuori si soffoca di caldo, nonostante sia Dicembre. Mi sto già allargando con borse e macchina fotografica sulle sedie, quando le 3 sedie del mio tavolo rimaste vuote si riempono,con mio grande fastidio. Le mie compagnie di tavolo sono una mamma con la figlia e la nonna. La madre è in carne e ha un bel paio di baffetti neri. La nonna invece è una signora secca secca con i capelli corti e arricciati.
Non riesco assolutamente a capire perché, essendo il locale enorme e semivuoto, la signora e la sua famiglia abbiano
deciso di sedersi proprio al mio tavolo. Ci metto un po’ di tempo a ricordarmi che mi trovo in una fila cubana e ogni sedia lasciata libera è un posto perso. Sicuramente anche le signore non sono lì per un eccesso d affetto nei miei confronti e avrebbero preferito mangiarsi in loro gelato per i fatti propri. 

Nel frattempo la cameriera ci ha messo davanti un bicchiere d’acqua a testa, sempre servendo rigorosamente in senso orario (chissà cosa potrà mai succedere altrimenti). Fingendo assoluta disinvoltura pur essendo seduta al tavolo con 3 perfette sconosciute, avvicino il bicchiere la bocca per fare una bella sorsata d’acqua. La nonna della famiglia mi guarda accigliata (ecco, ho già fatto una cazzata) e mi sconsiglia caldamente, per ora e per il futuro, di bere l’acqua che viene offerta a Coppelia. Per chiarificarmi meglio ilconcetto la definisce “agua de botas” che letteralmente significa “acqua di stivali”. Non so trovare una traduzione adeguata ma sono certa che non è nulla di potabile. E’ a quel punto che la nonna sfodera anche un paio di cucchiaini di plastica portati da casa, che passa alla nipote e alla figlia/nuora per mangiare il gelato. Lei comunque non prende nulla, il che mi fa riflettere sul fatto che in effetti il mio vaccino per i tifo è scaduto (che Dio me la mandi buona anche stavolta).

Ci viene finalmente servito il gelato, la figlia e la mamma hanno preso due palline, io  ho improvvisato prendendo una coppa gelato di cui ignoravo la composizione. Quando arriva comunque, non ha nulla a che vedere con le mega coppe gelato di Sowa, la mia pasticceria di fiducia di Bydgoszcz (la città dei miei nonni, in Polonia). Mi sembra che il bicchiere sia più alto e affusolato di quello delle mie compagne di tavolo, ma alla fine dentro ci sono le stesse palline di gelato un po’ sciolto con infilato in mezzo un pezzetto di panpepato. Mentre gusto la mia coppa rifletto anche sul fatto che sicuramente anche le stoviglie sono state lavate con la stessa agua de botas che ho nel bicchiere.  
Lo magio molto velocemente, un po’ perchè è già ormai quasi tutto sciolto, un po’ perchè psicologicamente voglio evitare di tenere in bocca il cucchiaino il meno possibile. 

Chiacchero un po’ con le mie compagne di tavolo del mio paese e dei posti che ho visitato a Cuba. Anche loro mi raccontano un po’ della loro vita e mi sembra abbastanza abbastanza evidente frequentano Coppelia per mancanza di alternative. Se potessero, pagherebbero il gelato in un chiosco di strada in CUC (diciamo la moneta dei “turisti”). Purtroppo però nella loro famiglia hanno tutti un impiego pubblico, il che significa che guadagnano in media circa 25$ al mese. La loro casa non è abbastanza bella e spaziosa per ospitare turisti,
quindi non hanno neanche la fonte di guadagno della casas particulares. L’unica opzione che hanno per offrire alla nipotina
un gelato, è portarla qui a mangiare gelato de botas.

Mi alzo alla ricerca del bagno, anche se la nonna mi ha già avvisato che sarà molto difficile che ce ne sia uno. E
infatti la cameriera mi conferma che il locale non è provvisto di un bagno. La ricerca del bagno però mi offre
l’occasione di sbirciare la sala di preparazione del gelato, che si trova dietro ampie vetrate, a vista sulla sala come nei
ristoranti europei più hipster. Peccato che dentro non ci sia niente di bello da vedere: 4/5 vasche da gelato chiuse,
un banco di metallo zozzo e 2/3 persone che non si capisce bene come passino le loro intere giornate, visto che la
mole di lavoro non sembra esattamente ucciderle.

Il boulevard San Rafael, nel centro di La Habana. Durante il mio viaggio il governo cubano stava trasformando parte di questo viale in una zona commerciale con negozi, supermercati e locali. 

Torno al tavolo con la vescica piena e si avvicina finalmente il momento del conto. Tutti pagano in moneda nacional, la moneta “statale” cubana. Ne avrei anche io di moneda nacional, ma non me ne resta moltissima e non voglio sprecarla. Decido di pagare in CUC, e il cambio viene fuori un po’ bizzarro. Praticamente pago lo stesso importo delle mie compagne di tavolo, ma in una moneta che vale circa 25 volte di più.

La nonna, che a questo punto chiameremo anche mia madrina, protettrice e caronte all’interno dell’universo di Coppelia,
si raccomanda che io per la prossima volta che vengo da Coppelia mi porti un po’ di Moneda Nacional. Ci salutiamo
con affetto anche se abbiamo passato insieme solo il tempo di un gelato, in cui io ho fatto in tutto per tutto la figura
della turista. Senza pensare le invito anche a fare un salto in Italia prima poi. Peccato che sarà molto difficile – non possono permettersi di viaggiare da nessuna parte. In effetti, non possono neanche permettersi un gelato senza rischiare il tifo.

Per glissare chiedo alla mia nonnina se secondo lei le cose miglioreranno nei prossimi anni. Nelle grandi città di Cuba è tutto un costruire negozi, ristrutturare e aprire supermercati. Non mi è sembrata molto convinta. 

D’altronde, come darle torto. Se anche a Cuba arrivassero Haagen Daz o Grom, cosa cambierebbere davvero per chi può permettersi a malapena Coppelia?