L’ingresso al caffé philo di Cracovia.
Quello di cui sto per scrivere è senz’altro uno dei bar più grezzi di Cracovia, almeno in centro città, e lo dico con serietà. Se volete un bel bar tranquillo e carino per l’aperitivo, non venite qua. Se volete stuzzicare qualcosa di raffinato o bere una bella birra artigianale, è pieno di altri posti. Girate alla larga da questo bar, di certo troverete parecchi locali migliori di questo.
Se invece siete alla ricerca di un’avventura, di un posto davvero marcio dove c’è un’ottima probabilità che vi accada qualcosa di assurdo, beh questo é il locale che fa per voi. I turisti, se ci finiscono ci finiscono per sbaglio e difficilmente si fermano più del tempo di una tisana o una pinta.
Il Cafè Philo si trova a pochi passi dalla piazza principale (Rynek Główny), la passerella dove sfila la Cracovia migliore e dove si trovano alcuni dei locali più eleganti della città. E’ aperto 24 h su 24 e serve a tutte le ore bicchierini di caffè d’asporto a 1 zloty (circa 25 centesimi di euro). Il proprietario ha decorato gli interni con dipinti e graffiti a tema “filosofico”. Accanto alla porta per esempio è dipinta una statua pensierosa, sotto alla scritta “mi taglierei la mano destra pur di essere ambidestro”.
La prima volta che sono entrata in questo locale non me la dimenticheró mai. Era pomeriggio e volevamo un diversivo dalle due birrerie fighette e costose lí accanto (house of beer e il Relaks craft beer). Siamo entrati per caso, con l’idea di berci l’ultima birra della giornata e tornarcene in hotel. Erano le 4 di pomeriggio, ma quando siamo usciti era notte fonda.
La prima cosa che ho sentito appena entrata è stato un familiare odore da concerto del primo maggio. Il proprietario del bar era seduto con un amico all’ingresso e fumavano tranquillamente marijuana. A Cracovia, in Polonia, in pieno centro e davanti alla porta a vetri. Era giá chiaro da subito che in quel bar, in quel posto, le normali regole del vivere civile erano relative.
Il café philo é un posto dove si incontrano persone di tutti i tipi, dagli occasionali turisti ai disperati in cerca di calore, fino agli habitué accaniti che siedono ogni sera immancabili al bancone. Quando parlo di disperati intendo davvero disperati, nel senso che tra le coppiette felici spesso qui si ritrovano anche persone che hanno una dimora fissa e stabile o che hanno fatto della vodka la loro religione. Questo è il posto, amare o odiare.
Venire qui mi fa sentire in un certo senso come nella serie di Netflix Midnight Diner, ambientata a Tokyo, ma senza buoni sentimenti. Una locanda che è aperta la notte è necessariamente frequentata da gente che per passione o per lavoro è fuori dal comune. Il cafè Philo in fondo è come una grande famiglia, ma una famiglia di quelle messe male: dove non è scontato comprare una lavatrice nuova e mamma e papà non sono persone esemplari.
Ma torniamo alla prima volta che sono entrata qui, qualche anno fa, una delle volte nella vita in cui ho forse immeritatamente scampato la morte, o almeno un brutto avvelenamento. Entriamo, dicevamo, e troviamo il proprietario che fuma erba in tutta tranquillità. Nel locale, buio, c’è poca gente. Ci sediamo al bancone e ordiniamo una birra media e un tè. Accanto a noi c’è un tipo biondino polacco e un’altro signore che non parla. Si siede tra di noi un’altra persona, un signore pulito con uno zainetto che si capisce subito che non ha le rotelle completamente a posto. Penso subito che forse è un senza fissa dimora, forse no, ma la sua vita non deve seguire un binario chiaro. Parla polacco, ma sbiascica un pó e faccio veramente fatica a capire quello che mi dice. Questo non lo ferma certo dal cercare di fare conversazione. L’altro ragazzo polacco mi conferma che non capisce nemmeno lui, tutto normale. Il signore tira fuori dal suo zainetto una bottiglia di plastica di vino fatto in casa. Non il vino che conosciamo noi, fatto di uva, ma quello dell’est. Qui l’uva non c’è e si fanno diversi vini fermentando la frutta. Di solito hanno tra i 15 e i 20 gradi, ne ho già ho assaggiati diversi fatti dalla mia famiglia, una volta anche uno alle rose.
Ma dicevamo, il signore tira fuori la sua bottiglia di vino e chiede al barista dei bicchieri. Il barista porge dei bicchieri, ma gli mette davanti anche una tazza di tè ricordandogli che deve necessariamente prendere una consumazione al bar. Il tizio il tè lo paga, ma non lo tocca per tutto il tempo, anche se il barista gli fa notare che è caldo e che gli farà bene. Piú che un bar sembra un centro di recupero, penso io, il barista è molto gentile e non mi capacito come non abbia buttato fuori un tipo del genere.
Intanto il tizio versa da bere con magnanimità a tutti presenti, compresi noi, che siamo proprio suoi vicini al bancone. Non sembra disposto ad accettare un rifiuto e nonostante le nostre facce perplesse ci piazza davanti due bicchieri di vino, credo a base di amarena – il ricordo è confuso. Le ore passano e piano piano finisco con preoccupazione il mio vino, mentre annuisco alle sue frasi sbiascicate che non capisco assolutamente. In una delle librerie del bar trovo una guida turistica di Cracovia degli anni ’80, quando ancora c’era il comunismo. Il capitolo su Nowa Huta, il quartiere costruito dal partito attorno ad una fabbrica d’acciaio, mi sembra un pezzo storico unico. Vorrei tenere il libro, comprarlo, o lasciare uno dei miei libri qui in cambio, magari fanno bookcrossing qui? Il proprietario mi guarda con una mezza risata (si starà chiedendo che minchia sia il bookcrossing) e mi dice di tenerlo pure, che non vuole niente, che ne ha tanti di libri.
Intanto attacca bottone anche il biondino accanto a noi, chiede di dove siamo e mi conferma che no, il mio polacco non è buono, meglio il mio inglese. Si trova a Cracovia ma in realtà non è di Cracovia, è di non-mi-ricordo-dove vicino al confine tedesco, e ha un’azienda di famiglia che produce insaccati. Come lavoro non è poi così fico, ma gli da vivere e poi forse più avanti con il suo ragazzo se ne andrà a vivere all’estero. Lui è di Cracovia, ma quel giorno al bar non c’è. Quando gli dico da che città viene mia nonna la chiama ridendo “Brzytkoszcz”, un gioco di parole tra “brzytki” (brutto) e il nome della città, Bydgoszcz. Gli diciamo che in fondo non è così male, che il centro storico è carino. Non ci crede molto, ma ci conferma che c’è un’ottima università medica. A quanto pare, l’unico valido motivo per visitare nella vita Brzytkoszcz.
Il signore del vino intanto si accorge che a differenza degli altri ho finito il mio bicchiere. Prima di andare via, dato che ho gradito, insiste per versarmene ancora un pochino e anche se io rifiuto, lo versa lo stesso. Non sembra che questa persona abbia molto, perché divide con noi il suo vino? Intanto il tè che era rimasto sul bancone viene messo via dal barista, ormai è freddo.
Quando torno a casa la notte mi vengono un pó di fitte allo stomaco. Ecco, penso, ho fatto la più grande cazzata della mia vita, ora mi ricoverano in ospedale. O peggio, schiatto qui, in un albergo del centro. I giornali titoleranno “amava tanto Cracovia e lí alla fine è morta”. O ancora “stupida ragazza italiana beve intruglio da barbone e muore nel dolore”. Sveglio il mio ragazzo e lo avviso che forse sto morendo. Mi consola il fatto che il nostro hotel non sia molto lontano dall’ospedale. Siamo d’accordo che è il caso che vada subito in bagno a vomitare tutto. Mi ristendo nel letto e recito un preghiera scaramantica. La mattina, inaspettatamente, sono viva e in splendida forma, e ho voglia di colazione.
Chissà dove sarà finito il signore del vino. Non l’abbiamo mai più visto al bar philo e chissà se comunque saremmo in grado di riconoscerlo. Dovunque sia, spero che la vita gli abbia detto bene, o che per lo meno continui a barcollare sui suoi binari sconnessi senza bruschi arresti. Ma se le nostre strade si dovessero incrociare di nuovo no, non lo berró mai piú il tuo vino, ma grazie.

Comunque un pó d’incoscenza mi è rimasta e l’altra settimana quando ho visitato di nuovi il cafè Philo ho ordinato una “nalewka philozofa”. Non so se l’abbiano sempre avuta, ma di recente è apparso sul muro addirittura una drink list in inglese (oltre a grandi insegne acchiappaturisti fuori che dicono “caffè 1 zloty” e “aperto 24h”). Comunque è uno shottino della casa, la cui vera composizione è sconosciuta, ma noi puntiamo su latte a lunga conservazione + liquore al caffè o forse cognac e caffè? D’altronde il caffè costa solo uno zloty e andrà pure riciclato. Questa volta, grazie al cielo, no crampi allo stomaco.
Ogni volta che torno al cafè Philo so che non mi aspetterà un’esperienza del tutto piacevole. Non ho belle foto di questo posto, è buio e l’atmosfera non è proprio da storie di instagram – e per fortuna. Ho solo ricordi indelebili. So che il pavimento sarà sporco e il rubinetto del bagno rotto, che si paga solo in contanti e che non si offrono shottinj alla chiusura – tanto non chiude mai. Ma so anche che vedró qualcosa che non mi aspetto, qualcosa di diverso dalle coppiette e i gruppi di amici giovani e benestanti che si sarebbero seduti accanto a me alla house of beer.
Il cafè Philo ha un sua bellezza poetica, ma come in una poesia malinconica. Ci sono cose che vedi qui che non solo belle e che ti rendono tristi, tipo persone sedute da sole che guardano nel vuoto, o sembrano in ansia, o preoccupate. Ma in qualche modo questo posto è la migliore descrizione che mi viene in mente per la parola shelter, un rifugio per tutti quelli che restano ai margini dallo scintillio del centro.
Se sapete apprezzare la poesia brutta, passate per un caffè.
Bydgoszcz è una città bellissima, ci ho fatto forse in assoluto le foto più belle in 11 anni di viaggi in Polonia. Già stato 2 volte e non vedo l’ora di tornarci col nuovo grandangolare! Stavolta però conto di scassarmi di kebab vegani al Vegab, in centro, l’altra volta ci sono stato appena 2 volte.
hahaha che bello! Non ho ancora mai provato Vegab, ma lo metto in lista